Riassunto
È stato approvato in sede preliminare il decreto legislativo di riforma del lavoro sportivo. Verranno introdotte tre diverse figure: il lavoratore sportivo propriamente detto, il collaboratore amministrativo e gestionale ed infine l’amatore. Per quest’ultima figura non cambierà nulla rispetto all’attuale normativa, se non il fatto che il limite di franchigia dei 10.000 euro diventerà assoluto e non potrà essere superato per nessun motivo. Al contrario per le figure dei lavoratori sportivi e dei collaboratori amministrativo gestionali verranno introdotti obblighi previdenziali e assicurativi (con contributi da versare in misura variabile dal 10 al 33% a seconda delle fattispecie oltre al premio assicurativo INAIL) e la necessità di gestire il contratto, gli adempimenti e le buste paga tramite consulenza professionali, con un evidente aggravio di spesa. Il decreto non chiarisce tra l’altro quali mansioni rientrano nell’attività sportiva che può essere remunerata con gli specifici compensi di settore e anzi, fornisce definizioni in parte contrastanti con quelle oggi esistenti e si presta a generare nuovi dubbi e contenziosi. L’intero assetto del decreto in realtà necessita di adeguati approfondimenti e interpretazioni ed è facile pronosticare un periodo prolungato di incertezze e contenziosi giurisdizionali ed in definitiva per gli enti sportivi un aggravio notevole di costi e adempimenti da svolgere.
****
1. La nuova norma e la legge delega
Il 25 novembre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato in sede di esame preliminare cinque decreti legislativi in attuazione della legge delega del 2019[1]. Il più importante di questi decreti porta la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi e di lavoro sportivo.
Innanzitutto, precisiamo che l’iter legislativo per l’adozione di questo provvedimento non è ancora concluso. Il decreto approvato in sede di esame preliminare verrà ora sottoposto all’esame consultivo del Parlamento per l’acquisizione di pareri e solo in esito a un’ulteriore approvazione del Consiglio dei Ministri in sede definitiva il decreto potrà essere promulgato come legge[2]. È quindi ancora possibile che nelle fasi rimanenti dell’iter vengano apportate modifiche alla normativa.
Il decreto in questione dà attuazione ad una delega[3] fornita al Governo dal Legislatore nell’agosto del 2019 con l’indicazione, per quanto concerne l’argomento oggetto del presente articolo, di individuare la figura del lavoratore sportivo, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta, definendone la disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e le regole di gestione del relativo fondo di previdenza. La delega prevedeva anche di dover disciplinare i rapporti di collaborazione di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale per le prestazioni rese in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche[4].
Dal perimetro della delega ci si sarebbe aspettati una riforma che identificasse con chiarezza le caratteristiche del lavoro sportivo eliminando qualsiasi incertezza sulle mansioni rientranti in questa categoria. La stessa formulazione della delega faceva inoltre presagire l’introduzione di obblighi assicurativi e previdenziali ad oggi inesistenti, a vantaggio dei lavoratori sportivi e a carico di associazioni e società sportive. Tuttavia, era anche lecito attendersi che all’interno della classificazione dei lavoratori sportivi, venissero individuate delle categorie di lavoratori o collaboratori che potessero continuare a operare in esenzione da qualsiasi onere previdenziale senza aggravi per gli enti sportivi dilettantistici.
2. Le nuove figure con cui si potrà svolgere lavoro sportivo e le mansioni rientranti in tali figure
Al contrario, per quanto riguarda il primo punto sopra indicato, il testo di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri non ha identificato con precisione le mansioni rientranti nel lavoro sportivo, con ciò facendo un evidente passo indietro rispetto ai risultati ai quali si era pervenuti negli anni scorsi con interventi di prassi[5] ed anche con tentativi di applicare nuove normative[6] mai entrate in vigore[7].
Con il nuovo decreto in sostanza vengono identificate tre figure che potranno svolgere la propria attività all’interno degli enti sportivi dilettantistici:
– il lavoratore sportivo propriamente detto che secondo la norma attualmente prevista dal nuovo decreto è definito nel modo seguente: “è lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara … che esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo”;
– l’amatore che, al fine di permettere agli enti sportivi dilettantistici di svolgere le proprie attività istituzionali, “mett[e] a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali”. Si precisa poi che le prestazioni amatoriali “sono comprensive dello svolgimento diretto dell’attività sportiva, nonché della formazione, della didattica e della preparazione degli atleti”. A questi soggetti potrà essere erogato solo un compenso rientrante tra le indennità di trasferta e i rimborsi spesa forfettari o premi ed emolumenti occasionali riconosciuti in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive e vigerà un limite assoluto di 10.000 euro annui al superamento del quale il reddito verrà qualificato, nella sua interezza, come professionale.
– Il collaboratore di carattere amministrativo-gestionale, la cui attività non viene definita con nessun’altra specificazione.
Appare quindi fin da subito chiaro che il decreto che avrebbe dovuto definitivamente chiarire le mansioni che rientrano nell’ambito del lavoro sportivo in realtà, se non verranno apportate modifiche al testo, al contrario genererà nuove incertezze. Per superare questi dubbi si dovrà ricorrere a interpretazioni e all’adozione di provvedimenti di prassi che, in mancanza di chiarezza normativa, potrebbero essere contestati dagli enti sportivi destinatari delle norme e quindi generare contenziosi in sede giurisdizionale con la conseguenza di un lungo periodo di incertezza prima del consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale definitivo. Mentre tuttavia in passato l’incertezza sul tipo di mansioni rientranti nel lavoro sportivo era limitato a situazioni particolari per le quali sussisteva un fondato dubbio sull’applicazione della disciplina del lavoro sportivo (in particolar modo con riferimento ad attività che apparivano di tipo professionale o imprenditoriale anziché esercizio di sport dilettantistico), è possibile che nei prossimi mesi il contenzioso possa estendersi a fattispecie molto diffuse di attività di supporto all’attività sportiva in precedenza mai contestate.
Per comprendere queste situazioni di incertezza è sufficiente notare come ad esempio l’attività dei dirigenti dell’ente sportivo dilettantistico che svolgano “funzioni indispensabili alla realizzazione della manifestazione sportiva”[8],nonché le attività inerenti “la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica”[9] che in precedenza erano esplicitamente ammesse nel perimetro delle mansioni che potevano essere remunerate attraverso il compenso sportivo[10] non sono invece oggi richiamate dal nuovo decreto. Ne deriva che tutta la prassi favorevole agli enti sportivi dilettantistici che si era consolidata sulla base della normativa fino ad oggi esistente[11] potrebbe ora essere superata e quindi ogni singola fattispecie di collaborazione sportiva che si configuri come diversa rispetto all’attività degli atleti, dei tecnici, dei direttori tecnici e sportivi e dei preparatori atletici e direttori di gara potrebbe risultare non ricompresa nel perimetro del lavoro sportivo.
Quindi, secondo una interpretazione restrittiva, potrebbero rimanere esclusi dalla possibilità di remunerazione sportiva anche tramite rimborsi spesa le attività dei dirigenti, custodi, manutentori, addetti alla preparazione dei materiali e degli impianti sportivi, meccanici, addetti al trasporto degli atleti e dei materiali di gara, ecc…
3. L’inquadramento contrattuale del lavoratore sportivo
Una volta identificato chi può essere definito come lavoratore sportivo, il decreto passa ad individuare le modalità di inquadramento contrattuale dello stesso. A tal fine chi ha scritto le norme ha utilizzato i tipi contrattuali già esistenti cercando di adattare alle peculiarità del settore sportivo le caratteristiche dei vari rapporti contrattuali con cui vengono disciplinati i rapporti di lavoro nell’ordinamento nazionale ed ha previsto che l’attività dei lavoratori sportivi possa essere svolta attraverso il lavoro subordinato[12], le collaborazioni coordinate e continuative[13], le prestazioni di lavoro autonomo le prestazioni di lavoro occasionale[14]. Risulta a prima vista evidente che questo tentativo di adattamento è andato a vuoto in quanto le particolarità del mondo sportivo dilettantistico mal si conciliano con le complicazioni previste dalla normativa in tema di lavoro subordinato e con i limiti previsti per il lavoro occasionale. Quanto alle collaborazioni coordinate e continuative questa figura giuridica assomiglia sempre più al mito dell’araba fenice che periodicamente scompare e rinasce dalle sue ceneri. Infatti, questa forma giuridica di rapporto di lavoro, oramai da decenni rimbalza tra rinascite correlate a periodici tentativi di far prevalere un’esigenza di flessibilità generalmente avvertita da tutti gli attori del mercato del lavoro e successive reazioni che portano alla sua limitazione o abrogazione per evitare abusi e violazioni dei principi che stanno alla base del rapporto di lavoro subordinato.
Nel complesso quindi si può concludere che il legislatore con questo decreto non ha scelto di adattare la disciplina del diritto del lavoro alle esigenze del lavoro sportivo operando la scelta coraggiosa di introdurre strumenti contrattuali nuovi, ma al contrario ha cercato di far rientrare il lavoro sportivo negli schemi giuridici esistenti. Con ciò da un lato si è persa un’importante occasione di innovare il mercato del lavoro e di adottare una disciplina originale consona alle peculiarità del settore sportivo e dall’altro si è introdotto un elemento di grande rischio per gli enti sportivi dilettantistici che dovranno utilizzare uno schema contrattuale (quello delle collaborazioni coordinate e continuative) da sempre disciplinato poco e male e con il rischio di dover affrontare cause per la riqualificazione dei rapporti di lavoro in contratti di lavoro subordinato[15].
Come conseguenza dell’inquadramento contrattuale previsto dal nuovo decreto sarà necessario adeguare le procedure e la documentazione da produrre alla normativa specifica di ciascun tipo di contratto. È facile quindi concludere che in caso di contratto di lavoro subordinato, di collaborazioni coordinate e continuative, ivi incluse quelle di carattere amministrativo gestionale, sarà necessario seguire tutti gli adempimenti previsti in tema di comunicazioni preventive al Centro per l’Impiego, predisposizione di buste paga, modelli di versamento di ritenute fiscali (oltre i 10.000 euro di compenso annuo) e previdenziali ecc… con un evidente aggravio di costi e di complicazioni per gli enti sportivi dilettantistici.
Il lavoro amatoriale remunerato con le indennità di trasferta, i rimborsi spesa forfettari o premi ed emolumenti occasionali riconosciuti in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive rimane al di fuori di qualsiasi inquadramento contrattuale tipico ed in quest’ambito si ritiene che si potrà proseguire con la prassi attualmente applicata che prevede la predisposizione di una lettera di incarico e la redazione di una ricevuta al momento del pagamento del compenso, attraverso la quale il percipiente si assume la responsabilità, nei confronti dell’ente sportivo dilettantistico, di dichiarare il non superamento della soglia di compensi di 10.000 euro annui. Tuttavia, viste le difficoltà interpretative poste dal nuovo decreto e le conseguenze di un’errata qualificazione del tipo di attività prestata e del compenso erogato, diventerà sempre più importante avere procedure standardizzate e professionali in grado di provare la conformità alla normativa del pagamento di compensi sportivi amatoriali.
4. Il trattamento fiscale del reddito prodotto dal lavoratore sportivo
Anche per quanto riguarda l’aspetto tributario la riforma porta nuovi elementi di incertezza. Fino ad oggi il trattamento tributario dei redditi prodotti dai lavoratori sportivi era assolutamente chiaro: i redditi venivano qualificati come redditi diversi ed erano disciplinati dagli articoli 67 e 69 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Qualunque fosse il rapporto contrattuale instaurato e sia che si trattasse di compensi, rimborsi forfettari di spesa o premi, in ogni caso si applicava la normativa che prevedeva una franchigia di 10.000 euro e una disciplina particolare per le ritenute da applicare sugli importi eccedenti.
Il nuovo decreto invece di confermare l’impostazione esistente con la sua semplicità di esecuzione o creare una nuova disciplina organica e chiara, ancora una volta cerca di utilizzare uno strumento esistente (la modalità di tassazione con franchigia di 10.000 euro) per adattarlo a una situazione nuova che è stata creata con l’introduzione delle nuove forme di contratto di lavoro sportivo. E ancora una volta l’operazione non pare riuscire in quanto viene creato un sistema ibrido di difficile comprensione e applicazione.
Ed in effetti viene stabilita una regola generale per cui “ai rapporti di lavoro sportivo si applicano, in quanto compatibili, le norme di legge sui rapporti di lavoro nell’impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario” e che per quanto non regolato diversamente dal decreto “è fatta salva l’applicazione delle norme del testo unico delle imposte sui redditi”. Sulla base di queste disposizioni appare quindi ragionevole ipotizzare che, a differenza di quanto accade oggi quando i redditi di lavoro sportivo sono qualificati tutti come redditi diversi, i compensi per rapporti di lavoro sportivo subordinato dovranno essere assoggettati a tassazione secondo le regole che disciplinano i redditi da lavoro dipendente[16], quelli collegati a contratti di collaborazione coordinata e continuativa dovranno essere disciplinati dalle norme fiscali previste per i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente[17], i compensi ricevuti per prestazioni di lavoro autonomo[18] e occasionale[19] dovranno seguire le rispettive regole previste dal Testo Unico delle imposte sui redditi. Tuttavia, il decreto prevede una norma agevolativa che estende la franchigia di 10.000 euro ai redditi di lavoro sportivo nei settori dilettantistici anche se questi non rientrano tra i redditi diversi, pertanto il limite di importo non tassabile viene esteso ai redditi di lavoro subordinato, assimilato ed autonomo (professionale o occasionale che sia). Infine, viene dettata un’altra regola che vieta la qualificazione come redditi diversi dei compensi percepiti eccedenti il limite di 10.000 euro.
La situazione viene ancora più complicata con il trattamento fiscale dei rapporti di collaborazione di carattere amministrativo-gestionale, i quali vengono da un lato qualificati come rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e quindi dovrebbero rientrare tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente secondo i principi generali, ma una norma specifica presente nel decreto precisa che questi redditi vadano qualificati come redditi diversi se rientrano nel limite di 10.000 euro annui o come redditi di lavoro autonomo professionale oltre tale soglia.
Proviamo a sintetizzare quindi le modalità di tassazione dei redditi sportivi secondo il nuovo decreto:
-ciascun reddito sportivo dovrà essere tassato secondo le regole proprie del contratto di lavoro secondo cui l’attività viene svolta. Pertanto, i lavoratori subordinati seguiranno le regole del reddito da lavoro subordinato, i collaboratori quelle dei redditi assimilati al lavoro dipendente, quelli autonomi le relative disposizioni contenute nel Tuir e solo gli amatori rimarranno nella categoria dei redditi diversi[20]. Il reddito dei collaboratori di carattere amministrativo gestionale infine dovrà essere qualificato come reddito diverso per importi entro i 10.000 euro annui e come reddito di lavoro autonomo professionale in caso di superamento della soglia;
-indipendentemente dalla qualificazione contrattuale e fiscale del reddito percepito, varrà per tutti (lavoratori subordinati, autonomi, collaboratori e amatori) il limite di 10.000 euro entro il quale i compensi non verranno tassati.
5. Il trattamento previdenziale del reddito prodotto dal lavoratore sportivo
Questo tema rappresenta indubbiamente la grande novità contenuta nel decreto ed è quello che maggiormente spaventa gli enti sportivi dilettantistici per i maggiori oneri da sostenere. Fino ad oggi l’inquadramento fiscale del lavoro sportivo come reddito diverso aveva permesso di evitare qualsiasi contribuzione ed anche il tentativo operato nel passato da alcuni enti previdenziali di richiedere il pagamento di contributi era stato definitivamente respinto[21].
Per comprendere le modalità di assoggettamento a contribuzione previdenziale dei redditi sportivi è necessario distinguere le varie modalità contrattuali di svolgimento dell’attività sportiva come sopra richiamate.
Per quanto riguarda i lavoratori subordinati il decreto prevede l’obbligo di iscrizione per costoro al Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi[22]. Si precisa che per le figure degli istruttori e dei direttori tecnici già iscritti al Fondo pensione per i lavoratori dello spettacolo si potrà optare per mantenere il regime previdenziale già in godimento.
I lavoratori sportivi inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi avranno invece l’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS e dovranno versare contributi in misura pari al 10 per cento se possono godere di altra copertura previdenziale e di un’aliquota crescente nel tempo, dal 20% per l’anno 2021 fino a raggiungere il 33% nel 2024. Il decreto non dà alcuna indicazione sulle modalità di suddivisione dell’onere contributivo tra ente sportivo dilettantistico e lavoratore sportivo, ma si ritiene si dovrà applicare la regola generale per questo tipo di contratti che prevede che i due terzi dell’onere siano a carico dell’ente sportivo e un terzo a carico del lavoratore.
I lavoratori autonomi dovranno anch’essi iscriversi alla gestione separata INPS. La misura della contribuzione sarà sempre pari al 10% per chi ha altra copertura previdenziale e a aliquote crescenti tra il 15 e il 25% nel periodo 2021-2024. Anche in questo caso si ritiene che la modalità di suddivisione dell’onere contributivo dovrà seguire le regole generali con la possibilità di rivalsa del 4% da parte del lavoratore sull’ente sportivo committente.
Per quanto riguarda i collaboratori di carattere amministrativo gestionale la norma non è di semplice interpretazione in quanto la scelta di mantenere esplicitamente questi compensi (se inferiori a 10.000 euro annui) nell’alveo dei redditi diversi autorizzerebbe a concludere che non debbano essere assoggettati a contribuzione. Tuttavia, la norma prevede una disposizione che definisce queste attività come collaborazioni coordinate e continuative[23] e soprattutto un’altra disposizione che afferma perentoriamente che questo genere di collaboratori debbano essere iscritti alla gestione separata INPS con applicazione delle aliquote contributive del 10% in caso di altra copertura pensionistica e del 20-33 per cento in misura crescente negli anni negli altri casi. In considerazione della chiarezza di quest’ultima disposizione, pur nella confusione terminologica e nella mancanza di un disegno chiaro e definito, appare tuttavia difficile poter affermare che questi tipi di collaborazioni non debbano essere assoggettate a contribuzione previdenziale.
Occorre anche precisare che nella legge di bilancio 2021[24], è prevista una misura destinata a ridurre l’impatto della riforma previdenziale sugli enti sportivi dilettantistici per i primi due anni prevedendo un esonero, eventualmente parziale in caso di mancanza di risorse, dal versamento di contributi previdenziali.
6. Il trattamento assicurativo del lavoratore sportivo
Per completare il quadro è stata prevista anche una disposizione che modifica l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di questi soggetti e sostanzialmente obbliga Federazioni e enti sportivi dilettantistici ad assicurare coloro che svolgono attività sportiva dilettantistica ed in ogni caso i lavoratori sportivi presso l’INAIL. Al contrario, per i soggetti qualificati come amatori che non svolgano attività sportiva diretta sarà obbligatorio procedere all’assicurazione prevista per i volontari dal Codice del Terzo Settore[25].
7. Stima dei maggiori costi per gli enti sportivi dilettantistici
Veniamo ora a stimare quale potrebbe essere l’impatto di questa riforma sugli enti sportivi dilettantistici. A tal fine, data la varietà delle diverse fattispecie che possono presentarsi, abbiamo individuato due situazioni esemplificative individuando quanti soggetti che apportano attività lavorativa saranno inquadrati come collaboratori coordinati e quanti come amatori:
-Caso 1: ente sportivo con 40 percipienti: inquadramento di 25 soggetti come lavoratori sportivi e 15 soggetti come amatori
Ipotesi:
numero percipienti lavoratori sportivi: 25
numero percipienti amatori: 15
compenso medio annuo lavoratori sportivi: 3.500 euro
media aliquota contributiva anno 2021: 15%
media aliquota contributiva anno 2024: 21,5%
Risultati:
Anno 2021
importo contributi da versare: 13.125 euro
stima costo consulenza del lavoro per 25 buste paga mensili: 4.500 euro
totale maggiori costi: euro 17.625 – da ridurre in base alla capienza dello stanziamento contenuto nella legge di bilancio
Anno 2024
importo contributi da versare: 18.812 euro
stima costo consulenza del lavoro per 25 buste paga mensili: 4.500 euro
totale maggiori costi: euro 23.312
-Caso 2: ente sportivo con 40 percipienti: inquadramento di 5 soggetti come lavoratori sportivi e 35 soggetti come amatori
Ipotesi:
numero percipienti lavoratori sportivi: 5
numero percipienti amatori: 35
compenso medio annuo lavoratori sportivi: 3.500 euro
media aliquota contributiva anno 2021: 15%
media aliquota contributiva anno 2024: 21,5%
Risultati:
Anno 2021
importo contributi da versare: 2.625 euro
stima costo consulenza del lavoro per 5 buste paga mensili: 1.850 euro
totale maggiori costi: euro 4.475 – da ridurre in base alla capienza dello stanziamento contenuto nella legge di bilancio
Anno 2024
importo contributi da versare: 3.763 euro
stima costo consulenza del lavoro per 5 buste paga mensili: 1.850 euro
totale maggiori costi: euro 5.613
Dagli esempi che precedono appare chiaro che gli enti sportivi saranno tentati di inquadrare tutte le attività svolte dai soggetti che collaborano con essi (atleti, tecnici, collaboratori di vario genere) come attività amatoriali, almeno se potranno mantenere sotto i 10.000 euro annui i compensi per ciascun percipiente. In caso contrario appare evidente che i maggiori costi non sarebbero sostenibili per nessun ente sportivo. Tuttavia, dati i limiti che la legge ha imposto agli emolumenti di tipo amatoriale sportivo, questa impostazione potrebbe portare ad assumersi gravi rischi ed incertezze.
8. L’entrata in vigore
Il decreto prevede che tutti gli articoli di legge relativi al lavoro sportivo entrino in vigore dal 1 settembre 2021.
9. Conclusioni
Al termine della disamina della disciplina prevista dal decreto legislativo approvato in esame preliminare non si può che ricavarne la sensazione che sia stata persa una grande occasione per disciplinare un tema fondamentale per il funzionamento degli enti sportivi dilettantistici. Ciò in quanto, anziché prevedere una normativa organica e dettagliata che eliminasse qualsiasi incertezza sul tema analizzando i singoli casi specifici che si verificano nella reale gestione di un’attività sportiva dilettantistica, è stato predisposto un testo privo di un disegno originale, che utilizza diverse regole facenti capo ad ambiti giuridici diversi tra loro (diritto del lavoro, diritto tributario ecc…) senza un chiaro coordinamento. Appare anche estremamente chiara la distanza esistente tra chi ha scritto queste norme e chi conosce il reale funzionamento di un ente sportivo dilettantistico. D’altronde il costo di questa riforma sugli enti sportivi appare evidentemente insostenibile nel caso in cui si dovesse giungere alla piena applicazione degli oneri contributivi previsti, come si vede dagli esempi sopra proposti. Peraltro, il vantaggio per i percipienti dei compensi sportivi collegato alla possibilità di avere prestazioni previdenziali al termine della carriera appare realmente di poca importanza tenendo conto che molti di coloro che svolgono l’attività sportiva dilettantistica in giovane età avranno una carriera diversa nel futuro e non avranno bisogno di essersi costruiti una posizione previdenziale con la propria attività sportiva. Stesso discorso vale per chi svolge altri lavori e, per passione e per arrotondare il proprio reddito, si dedica anche ad istruire e formare i giovani alle attività sportive. Purtroppo però la normativa contenuta nel decreto non è in grado di distinguere tra queste diverse fattispecie e pone semplicemente in capo agli enti sportivi maggiori costi privi di una effettiva contropartita sociale in capo ai percipienti di reddito sportivo. Evidentemente ciò è correlato al fatto che la vera motivazione che spinge a questa riforma è quella di voler sostenere le casse dell’INPS ed utilizzare i contributi per il pagamento delle pensioni di chi nulla ha a che fare con il mondo sportivo. Chiudiamo facendo presente che i risultati che emergono dalle simulazioni come quelle contenute negli esempi sopra riportati potrebbero far risultare il decreto in corso di approvazione illegittimo per violazione della delega ricevuta dal legislatore. Infatti la legge delega prevedeva, tra l’altro, che il decreto dovesse essere emanato allo scopo di assicurare la stabilità e la sostenibilità del sistema dello sport. Alla luce di alcune simulazioni svolte appare chiaro che questa riforma mette in discussione la sostenibilità finanziaria degli enti sportivi dilettantistici e dato il ruolo che questi enti hanno all’interno del sistema dello sport si potrebbe sostenere che la sostenibilità di quest’ultimo non venga garantita dal decreto in corso di approvazione.
Infine occorre considerare che, seppure per cause non dovute ovviamente al legislatore, l’attuale situazione emergenziale rende ancor più difficoltosa l’introduzione di innovazioni di questa portata in questo momento storico. Anche di ciò si dovrebbe tenere conto al momento di dover approvare il testo definitivo del decreto legislativo.
Parma, 4 gennaio 2021
Dr. Fabio Zucconi
[1] Legge 8 agosto 2019, n.86.
[2] La legge delega prevede che i decreti fossero inviati alle Camere e che queste hanno quarantacinque giorni dalla data di trasmissione per rendere il proprio parere.
[3] Cfr. art.5, comma 1, lettera c), della legge 8 agosto 2019, n.86.
[4] Cfr. art.5, comma 1, lettera f) della legge 8 agosto 2019, n.86.
[5] Cfr. Lettera Circolare del 1 dicembre 2016 INL n.1, Circolare Federazione Italiana Rugby del 22 agosto 2017, Delibera Federazione Ciclistica Italiana n.171 del 21 giugno 2017, Delibera Federazione Italiana Pesistica n.32 del 4 febbraio 2017, delibera n.30 CSEN del 18 novembre 2017.
[6] Cfr. art.1, comma 358 della legge 27 dicembre 2017, n.205.
[7] La norma dianzi citata in nota infatti è stata abrogata dall’art.13 del decreto-legge 12 luglio 2018, n.
[8] Cfr. Risoluzione Agenzia Entrate 26 marzo 2001.
[9] Cfr. art.35, comma 5 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n.207.
[10] Intendiamo con “compenso sportivo” il reddito diverso disciplinato dall’art.67, comma 1, lettera m) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).
[11] Cfr. Circolare ENPALS n.18 del 9 novembre 2009, Risoluzione Agenzia Entrate n.38 del 17 maggio 2010, Circolare Ministero Lavoro del 21 febbraio 2014, Lettera Circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 1 dicembre 2016.
[12] Vengono estese al contratto di lavoro subordinato sportivo la maggior parte delle norme applicabili al lavoro subordinato in generale con alcune eccezioni in particolare in tema di controlli e licenziamenti.
[13] Viene richiamato l’articolo 409, comma 1, n.3 del codice di procedura civile che è l’originario riferimento del cosiddetto contratto di collaborazione coordinata e continuativa e che in realtà non contiene alcuna disciplina specifica per questo genere di contratti e, pericolosamente, viene anche affermato che il contratto di collaborazione potrà essere riqualificato in contratto di lavoro subordinato in caso di prestazioni di tipo prevalentemente personale le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente.
[14] Viene richiamata la normativa prevista dall’art.54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n.50. Trattasi della normativa che ha introdotto il libretto di famiglia in sostituzione dei “voucher” e che contiene limiti molto stringenti in quanto ciascun committente non può erogare compensi complessivi di importo superiore a 5.000 euro annui con il limite di 2.500 euro annui per ciascun lavoratore occasionale.
[15] Ulteriore conferma in tale direzione è la previsione della possibilità di ottenere la certificazione dei contratti di lavoro che comporta una complicata procedura con l’intervento di sindacati e Ispettorati Territoriali del Lavoro che sinceramente appaiono del tutto fuori luogo per il tipo di attività svolta dagli enti sportivi dilettantistici e per il rapporto esistente tra enti sportivi e soggetti che prestano attività lavorativa per loro conto.
[16] Cfr. articoli 49 e 51 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917.
[17] Cfr. articoli 50 e 52 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917.
[18] Cfr. articoli 53 e 54 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917.
[19] Cfr. articoli 67 e 69 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917.
[20] Questa interpretazione avrà conseguenze sulle modalità di compilazione delle dichiarazioni dei redditi dei percettori di reddito sportivo.
[21] Cfr. Circolare INPS n.32 del 7 febbraio 2001.
[22] Trattasi del fondo pensionistico già esistente per i lavoratori sportivi professionisti e oggi denominato “Fondo Pensione Sportivi Professionisti” gestito dall’INPS.
[23] Viene fatto un esplicito riferimento all’articolo 409 del c.p.p. che ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento la figura giuridica del contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
[24] Art.1, commi 34 e 35, Legge 30 dicembre 2020, n.178.
[25] Cfr. articolo 18, comma 2, D.Lgs.3 luglio 2017,n.117.