LA TASSAZIONE DEI REDDITI DA CESSIONE DI VALUTE ESTERE RIVENIENTI DA CONTI CORRENTI – parte 5 di 5
Terminiamo la pubblicazione dell’approfondimento sul tema della tassazione dei redditi da cessione di valute estere rivenienti da conti correnti con la quinta e ultima parte dedicata a: La ratio della tassazione dei redditi da cessione di valute estere rivenienti da conti correnti: Rapporto con la componente di plusvalenza correlata alla variazione del tasso di cambio incorporata nel capital-gain per cessione di titoli denominati in valuta estera; Quali redditi vengono effettivamente tassati con le plusvalenze da cessione di valute rivenienti da conto corrente.
5. La ratio della tassazione dei redditi da cessione di valute estere rivenienti da conti correnti
5.1 Rapporto con la componente di plusvalenza correlata alla variazione del tasso di cambio incorporata nel capital-gain per cessione di titoli denominati in valuta estera
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente il quadro RT del modello per la dichiarazione dei redditi serve per la dichiarazione delle plusvalenze derivanti dalle operazioni di movimentazione di valuta su conto corrente di cui ci stiamo occupando in questo approfondimento e, cumulativamente con esse, anche per la dichiarazione di altre plusvalenze su strumenti finanziari. In particolare, vanno dichiarate nel medesimo quadro le plusvalenze che vengono prodotte dalla compravendita di titoli compresi quelli denominati in valuta estera. Al fine di comprendere meglio il meccanismo impositivo ora in esame conviene indagare quale interazione sussiste tra la tassazione dei movimenti in valuta su conto corrente e quella relativa alle compravendite di titoli in valuta.
Questo approfondimento necessita preliminarmente di fare un breve accenno alle modalità di tassazione delle plusvalenze sulla cessione di titoli denominati in valuta. Tali plusvalenze, siano esse correlate a obbligazioni, azioni o altri strumenti finanziari rientranti nel perimetro delineato dall’art.67 Tuir, misurano il reddito prodotto come differenza tra il corrispettivo ricevuto per la cessione del titolo ed il costo sostenuto per l’acquisto dello stesso. Qualora il titolo sia denominato in una valuta diversa dall’euro, il reddito prodotto sarà composto da due componenti: la prima correlata al confronto tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita denominato in valuta[1] e la seconda determinata in funzione della variazione del tasso di cambio tra la valuta estera e l’euro nel periodo intercorso tra l’acquisto e la vendita del titolo[2]. In altri termini per ciascuna operazione di cessione di titoli denominati in valuta sarebbe possibile scindere la plusvalenza (o minusvalenza) complessiva in due distinte componenti, una correlata al corso di mercato del titolo e l’altra correlata alla variazione del tasso di cambio tra euro e valuta estera[3].
Ciò premesso occorre rilevare fin da subito che, data la modalità di determinazione del reddito imponibile generato dalla cessione di titoli denominati in valuta[4], dal punto di vista fiscale la plusvalenza generata dalla cessione di titoli denominati in valuta estera comporta la tassazione integrale di entrambe le proprie componenti (quella correlata al prezzo e quella correlata al tasso di cambio). Da ciò deriva che la tassazione delle plusvalenze rivenienti da conti correnti o depositi di cui ci siamo occupati fino ad ora non deve contenere nella sua base imponibile la componente reddituale correlata alla variazione del tasso di cambio inclusa nelle plusvalenze da cessione di titoli denominati in valuta estera. In caso contrario si avrebbe una doppia tassazione del medesimo imponibile. Ed in effetti il metodo di determinazione delle plusvalenze da cessione di valute rivenienti da conto corrente descritto nei paragrafi che precedono[5] permette di evitare questa doppia tassazione. Per dimostrare nel modo più semplice e immediatamente comprensibile che l’applicazione delle metodologie illustrate nei paragrafi che precedono evita di operare una doppia tassazione del reddito derivante dalla cessione di titoli denominati in valuta estera con riferimento alla componente di plusvalenza correlata alla variazione del tasso di cambio proponiamo un semplice esempio:
supponiamo che un investitore/ contribuente (Tizio) intenda effettuare un investimento in valuta ed a tal fine apra un conto corrente in dollari americani versandovi in data 3/1/2017 il controvalore di 10.000 $ dal proprio conto in euro. Supponiamo che questo importo venga interamente investito in titoli denominati in $ il 20/1 (quindi il saldo del conto corrente in dollari in quel momento si azzera). Il 20/2 Tizio decide di vendere i titoli precedentemente acquistati per un prezzo di 11.500 $ rilevando quindi un guadagno correlato alla variazione del prezzo dei titoli di 1.500 $. Il controvalore del disinvestimento viene versato sul conto corrente in dollari che pertanto assume un saldo di 11.500 $. Al 20/6 Tizio reinveste l’intero saldo esistente sul conto corrente denominato in dollari acquistando un altro titolo e nuovamente il conto corrente assume saldo pari a zero. Il 20/10 il titolo acquistato viene rivenduto per un prezzo di 12.500 $ con un nuovo guadagno in conto prezzo pari a 1.000 $. Il saldo del conto corrente in dollari quindi ammonta ora a 12.500. Finalmente il 10/11 Tizio considera terminato l’investimento in valuta e chiude il conto corrente in dollari trasferendo il controvalore di 12.500 $ sul proprio conto in euro.
Tenendo in considerazione i dati precedentemente indicati si rileva innanzitutto che l’investimento di Tizio ha fruttato un reddito complessivo di 1.096,66 euro che si determina dal confronto del controvalore in euro dell’investimento iniziale pari a 9.629,27 euro (controvalore di 10.000 dollari applicando il tasso di cambio di 1,0385 vigente in data 3/1/17) e di quello del versamento finale sul conto corrente in euro pari a 10.725,93 euro (controvalore di 12.500 dollari applicando il tasso di cambio di 1,1654 vigente in data 10/11/17). Dal punto di vista fiscale quindi, per evitare doppie tassazioni e per tassare l’intero importo del guadagno percepito, occorrerà portare a tassazione l’importo di 1.097 euro[6].
I due investimenti in titoli effettuati hanno portato alla rilevazione di due plusvalenze che sono quantificabili rispettivamente in 1.427,14 euro la prima e in 268,73 euro la seconda[7]. In particolare si può calcolare che il primo investimento abbia prodotto una parte di plusvalenza correlata al corso del titolo per 1.412,96 euro e una parte di plusvalenza correlata alla variazione del tasso di cambio valutario per 14,18 euro. Il secondo investimento invece ha prodotto una parte di plusvalenza correlata al corso del prezzo del titolo pari a 846,17 euro e una parte di minusvalenza correlata alla variazione del tasso di cambio pari a 577,44 euro. Ciò che appare chiaro è che dal punto di vista fiscale tutte le componenti di reddito prodotte da questi investimenti, siano esse correlate al prezzo del titolo o alla variazione del tasso di cambio, diventano reddito imponibile attraverso il confronto del corrispettivo ricevuto e del prezzo pagato per la compravendita dei titoli.
Tuttavia appare anche chiaro che per portare a tassazione l’effettivo guadagno ottenuto da Tizio manca una ulteriore componente in quanto il reddito imponibile correlato ai due investimenti in titoli ammonta a 1.695,87 euro, mentre l’effettivo guadagno dell’investitore/ contribuente è di 1.097 euro. La minusvalenza di 599,21 euro necessaria a riportare l’equilibrio tra imponibile fiscale ed effettivo reddito prodotto deriva dalla determinazione delle plusvalenze da cessioni di valute rivenienti da conto corrente. In effetti il confronto tra i singoli scarichi di valuta effettuati da Tizio al momento in cui ha addebitato il proprio conto corrente in dollari per effettuare l’acquisto dei titoli o per chiudere il conto con trasferimento del saldo sul conto in euro ed i correlativi carichi avvenuti con il trasferimento iniziale della provvista dal conto in euro e con i disinvestimenti dei titoli porta a rilevare due minusvalenze rispettivamente dell’importo di 223.70 euro e 524,35 euro in occasione dei due investimenti in titoli (20/1 e 20/6) e una plusvalenza di 148,85 euro al momento della chiusura del conto in valuta (10/11).
Con ciò appare chiaro anche da un punto di vista meramente pratico e numerico che affinché venga portato a tassazione l’effettivo reddito prodotto dagli investimenti in valuta è necessario affiancare la metodologia di calcolo delle plusvalenze da cessione di valuta oggetto del presente approfondimento alla più familiare tassazione dei redditi da investimenti in titoli denominati in valuta.
Proponiamo di seguito gli schemi dettagliati dei calcoli effettuati per ottenere i risultati riportati nell’esempio precedente:
Data | USD | descrizione operazione | Cambio giornaliero | Valore in EUR |
03-gen | 10.000,00 | cambio da conto Euro | 1,0385 | 9.629,27 |
20-gen | – 10.000,00 | investimento in titoli US | 1,0632 | – 9.405,57 |
20-feb | 11.500,00 | disinvestimento titoli US con guadagno di 1.500 US | 1,0616 | 10.832,71 |
20-giu | – 11.500,00 | investimento in titoli US | 1,1156 | – 10.308,35 |
20-ott | 12.500,00 | disinvestimento titoli US con guadagno di 1.000 US | 1,1818 | 10.577,09 |
10-nov | – 12.500,00 | cambio verso conto Euro | 1,1654 | – 10.725,93 |
Data | Tipo tassazione | Plus/minus totale | di cui titolo | di cui cambio |
03-gen | ||||
20-gen | valuta | – 223,70 | – 223,70 | |
20-feb | titoli | 1.427,14 | 1.412,96 | 14,18 |
20-giu | valuta | – 524,35 | – 524,35 | |
20-ott | titoli | 268,73 | 846,17 | – 577,44 |
10-nov | valuta | 148,85 | – | 148,85 |
totale | 1.096,66 | 2.259,13 | – 1.162,47 |
5.2 Quali redditi vengono effettivamente tassati con le plusvalenze da cessione di valute rivenienti da conto corrente
Partendo dai risultati dell’approfondimento contenuto nel paragrafo precedente appare ora possibile qualificare precisamente e con cognizione di causa supportata da valutazioni di tipo numerico quali siano i redditi che vengono effettivamente tassati attraverso l’applicazione della metodologia indicata nei paragrafi che precedono necessaria per l’imposizione delle plusvalenze da cessione di valute rivenienti da conto corrente.
Appare infatti ora chiaro che le plusvalenze da cessione di valute oggetto di questo approfondimento vanno a quantificare l’incremento di valore (o la sua riduzione in caso di minusvalenze) delle somme in valuta esistenti sui conti correnti che non siano denominati in euro. Abbiamo infatti dimostrato che il semplice trascorrere del tempo, dal momento che il tasso di cambio tra euro e valute estere muta continuamente, comporta un apprezzamento o una riduzione di valore del saldo detenuto in valuta e che questa variazione di valore non viene completamente incorporata negli investimenti e disinvestimenti in titoli effettuati in valuta.
Ci si può infine chiedere se con questa modalità di determinazione delle plusvalenze si ponga un’eccezione alla regola principale che disciplina la tassazione dei redditi finanziari in regime dichiarativo, ovvero se in realtà si stiano tassando redditi maturati ma non ancora realizzati e che in effetti potrebbero non realizzarsi mai qualora le condizioni di mercato si modificassero in futuro. Anche a questa domanda occorre rispondere in modo negativo in quanto il presupposto per la tassazione è quello che abbiamo convenzionalmente denominato “scarico di valuta”, il quale presuppone sempre un utilizzo delle somme detenute in valuta estera e quindi una monetizzazione delle stesse. Abbiamo dimostrato che se non si portasse a tassazione il reddito prodotto dalla variazione del tasso di cambio sul saldo presente sul conto corrente in valuta nel periodo intercorrente tra un disinvestimento con accredito sul conto in valuta e un successivo investimento con addebito del medesimo conto, l’imponibile determinato solo con riferimento alla plusvalenza incorporata nell’investimento in titoli non sarebbe completo e la somma portata a tassazione non coinciderebbe con l’effettivo reddito prodotto dal contribuente[8]. Pertanto il caso di addebito del conto in valuta per investimento in titoli denominati nella medesima valuta rappresenta un momento di realizzazione del reddito ora in esame. Allo stesso modo rappresenta un momento di realizzazione del reddito anche l’utilizzo del saldo del conto corrente per effettuare pagamenti in valuta o per sostenere spese. In quel momento infatti le somme rivenienti dal conto corrente vengono scambiate con beni o servizi e questo rappresenta evidentemente un presupposto di realizzazione del reddito. Anche l’addebito del conto in valuta per giroconto su altro conto corrente denominato in altra valuta e intestato al medesimo contribuente rappresenta una realizzazione di un guadagno in conto valuta. Questa in effetti è l’operazione tipica di realizzazione di un guadagno in conto valuta ed è utilizzata anche direttamente per effettuare arbitraggi e operazioni speculative sui cambi. Rimane quindi come unica possibile eccezione quella del prelievo di denaro contante in valuta. In effetti se un contribuente preleva oggi denaro contante in valuta dal proprio conto corrente e lo tiene liquido per alcuni mesi non realizza alcun reddito fino a che il denaro non viene effettivamente speso. In questo caso bisogna ammettere che si ha una anticipazione della rilevazione della plusvalenza senza che si sia in presenza di una realizzazione di un reddito. Tuttavia anche questa eccezione alla regola è stata introdotta consapevolmente e volontariamente dal legislatore, il quale era conscio del fatto che “quando la valuta è uscita dal conto corrente o dal deposito, non è più possibile stabilire se e in che momento essa è stata successivamente ceduta”[9] e per questo motivo ha introdotto una regola che prevede l’anticipazione della tassazione al momento in cui viene addebitato il conto corrente.
Si può concludere quindi affermando che la normativa in tema di tassazione dei redditi da cessione di valuta riveniente da conto corrente in realtà rappresenti un completamento necessario alle altre normative inerenti la tassazione di redditi finanziari in quanto in mancanza di queste disposizioni parte dei redditi prodotti dagli investimenti in valuta sfuggirebbero all’imposizione. Peraltro abbiamo anche potuto verificare come l’applicazione di questa normativa sia particolarmente complicata e quindi appare quanto mai opportuno aver fissato una soglia quantitativa per escludere da questi adempimenti complessi le posizioni di minore entità.
Parma, 27/5/2019
Dr. Fabio Zucconi
[1] Quindi ad esempio se una azione denominata in $ fosse stata acquistata al prezzo di 1,25$ e venisse successivamente venduta al prezzo di 1,38$ si rileverebbe una prima componente di reddito pari a 0,13$ che valorizzata al tasso di cambio euro-dollaro della data in cui è stato acquistato il titolo che ipotizziamo pari a 1,13, corrisponderebbe a circa 0,11 euro.
[2] Riprendendo l’esempio della nota precedente, se il tasso di cambio euro-dollaro fosse fissato a 1,13 al momento dell’acquisto del titolo e a 1,17 al momento della vendita ne deriverebbe che il valore in euro del titolo denominato in dollari al momento dell’acquisto sarebbe pari a 1,11 (pari a 1,25 – prezzo in dollari del titolo al momento dell’acquisto – diviso per 1,13 – tasso di cambio al momento dell’acquisto), mentre il valore in euro del titolo al momento della vendita, calcolato senza tener conto del guadagno correlato alla modificazione del prezzo del titolo, ammonterebbe a 1,07 (pari a 1,25 diviso per 1,17). La componente di reddito dovuta al cambio sarebbe quindi quantificabile in una perdita di 0,04 euro (1,07-1,11).
[3] Nell’esempio riportato nelle note precedenti si potrebbe quindi affermare che la cessione del titolo denominato in dollari ha prodotto una plusvalenza di 0,07 euro determinata come confronto tra il valore in euro del prezzo di vendita del titolo (pari a 1,18 euro determinato dalla conversione in euro del prezzo di vendita in dollari: 1,38 / 1.17) e il valore in euro del costo di acquisto del medesimo titolo (pari a 1,11 euro determinato dalla conversione in euro del prezzo di acquisto in dollari: 1,25 / 1,13). In base a quanto indicato nelle note precedenti si può affermare che la plusvalenza di 0,07 euro è composta da una componente positiva correlata al corso del prezzo del titolo per 0,11 euro e da una componente negativa correlata alla variazione del tasso di cambio di 0,04 euro.
[4] Che consiste nel confronto tra il controvalore in euro del corrispettivo ricevuto per la cessione del titolo valorizzato al cambio del giorno della cessione e il costo sostenuto per l’acquisto del titolo valorizzato al cambio del giorno di acquisto.
[5] Che consiste nel confrontare ogni scarico di valuta con i precedenti carichi con l’applicazione del metodo di abbinamento denominato Lifo.
[6] In questo esempio prescindiamo dal limite quantitativo di imponibilità dei redditi da cessione di valute previsto dall’art.67, comma 1-ter Tuir.
[7] I dettagli del calcolo di queste plusvalenze sono contenuti nello schema che verrà proposto al termine di questo paragrafo.
[8] Eventualmente ciò potrebbe accadere anche a danno del contribuente come nel caso numerico riportato precedentemente in cui se non si fosse rilevata la minusvalenza da cessione di valuta si sarebbe portata a tassazione una somma superiore rispetto all’effettivo guadagno.
[9] Cfr. Circolare Ministero Finanze n.165 del 24 giugno 1998, punto 2.2.3.