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Studio Fabio Zucconi

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NUOVE CONFERME SULLE SPONSORIZZAZIONI SPORTIVE: NO AGLI ACCERTAMENTI PER ANTIECONOMICITÀ

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CONTENUTO IN Sport-Update – Newsletter n. 18/21 – 4/12/2021

Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, in un periodo particolarmente importante per la raccolta delle sponsorizzazioni sportive, torniamo ancora una volta[1] sul tema del rischio di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate con riferimento alle contestazioni della deducibilità del costo in capo allo sponsor per mancanza del requisito di inerenza, economicità e proporzionalità dello stesso rispetto alla realtà aziendale.

Forniamo questo aggiornamento a seguito della pronuncia di due sentenze che ancora una volta vanno nella direzione favorevole alle imprese che fanno sponsorizzazioni sportive (e quindi di riflesso rendono più facile per gli enti sportivi dilettantistici raccogliere fondi attraverso l’attività promozionale e pubblicitaria legata all’attività istituzionale sportiva).

Le due pronunce che verranno commentate rappresentano due estremi con riferimento agli organi giurisdizionali che le hanno pronunciate. La prima sentenza di cui ci occuperemo infatti proviene dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, massimo grado di giurisdizione continentale. La seconda sentenza è stata pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Parma, organo giudicante di primo grado a livello locale. È importante tuttavia sottolineare che l’orientamento favorevole alle sponsorizzazioni sportive sta proseguendo a tutti i livelli, dalla provincia alle corti internazionali e senza eccezioni favorevoli alle interpretazioni portate avanti senza successo oramai da anni dall’Agenzia delle Entrate. Speriamo che questo continuo susseguirsi di pronunce contrarie spinga l’amministrazione finanziaria ad abbandonare questo filone di accertamento eliminando un ostacolo importante alla ricerca di fonti di finanziamento per gli enti sportivi dilettantistici.

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La prima pronuncia che commenteremo è la sentenza della Corte Europea di Giustizia nella causa C-334-20 del 25 novembre 2021. Il caso posto all’attenzione della Corte concerneva un accertamento fatto dall’amministrazione finanziaria ungherese ad una società attiva nel settore degli impianti elettrici che offriva i propri servizi principalmente a cartiere e laminatoi. Questa impresa aveva stipulato un contratto per il costo di circa 130.000 euro per ottenere pubblicità attraverso l’esposizione di adesivi pubblicitari sulle automobili che partecipavano a un campionato di corse motoristiche in Ungheria. L’amministrazione finanziaria magiara aveva contestato l’eccessivo costo della prestazione pubblicitaria che non avrebbe portato allo sponsor un aumento di fatturato commisurato al costo sostenuto. Veniva anche contestato che la sponsorizzazione non fosse conveniente in quanto i clienti dell’impresa non erano consumatori finali, ma imprese che non si lasciano influenzare nelle decisioni commerciali dalla presenza di adesivi su automobili durante eventi sportivi.

Ebbene, la Corte di Giustizia, nella sentenza ora in esame, ha sostanzialmente affermato che le amministrazioni finanziarie nazionali non hanno il diritto di impedire la detrazione dell’IVA nel caso in cui  il prezzo fatturato per i servizi pubblicitari sia considerato eccessivo rispetto a un ipotetico valore di riferimento, né può essere negata la detrazione dell’IVA se i servizi di sponsorizzazione sportiva ricevuti non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato. Al fine di poter detrarre l’IVA, lo sponsor dovrà solo dimostrare che i servizi pubblicitari ricevuti presentino un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche svolte e quindi in sostanza è sufficiente dimostrare che la sponsorizzazione sportiva abbia come scopo la promozione dei beni e dei servizi commercializzati dall’impresa sponsor. A tal fine basta dimostrare che per l’impresa sussista un teorico vantaggio che potrà essere ottenuto dalla prestazione pubblicitaria in quanto la stessa promuove i propri beni o servizi, mentre non è necessario che il prezzo pagato per questa prestazione sia economicamente vantaggioso o congruo rispetto a valutazioni di mercato, né è necessario dimostrare di avere ottenuto risultati in termini di incremento di fatturato o di utile. In sostanza la conclusione a cui è giunta la Corte di Giustizia è del tutto conforme con quanto sostenuto nel diritto interno dalla Corte di Cassazione con le pronunce più volte commentate in passato[2] che sostanzialmente richiedono che la finalità del contratto sia quella di promuovere l’immagine o i prodotti dell’impresa che opera da sponsor e che la prestazione abbia avuto effettiva esecuzione. Precisiamo infine che i principi stabiliti con la sentenza ora in commento hanno validità anche in Italia anche se il caso trattato riguardava uno stato estero e che la difesa offerta da questo precedente vale solo con riferimento alla detraibilità dell’IVA e non per la deduzione del costo ai fini delle imposte dei redditi.

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La seconda sentenza che segnaliamo è stata pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Parma in data 5 ottobre 2021[3]. Il caso era quello di un agente di commercio che aveva effettuato varie sponsorizzazioni sportive che erano state contestate in quanto ritenute non inerenti, anti-economiche e non in grado di raggiungere i potenziali clienti. In particolare l’Agenzia delle Entrate contestava che “non è ravvisabile alcun legame tra gli spettatori delle squadre sponsorizzate e i clienti dell’agente di commercio poiché lo stesso non vende alcunché, ma si limita a proporre i prodotti commercializzati dalle imprese preponenti riconducibili a prodotti e relativi marchi già molto conosciuti che non hanno bisogno di essere oltremodo pubblicizzati”. Inoltre veniva posta la usuale contestazione della sproporzione della somma investita nella sponsorizzazione sportiva rispetto al fatturato e agli utili di impresa prodotti.

La difesa basata sul richiamo alla disposizione contenuta nell’articolo 90, comma 8 della Legge 289/2002, era diretta a dimostrare che nel caso di specie sussistevano le quattro caratteristiche[4] richieste dalla giurisprudenza di Cassazione per rendere deducibili le spese di sponsorizzazione indipendentemente da giudizi di inerenza o proporzionalità. In particolare veniva chiarito che l’agente di commercio aveva lui stesso un marchio conosciuto nel settore ed inoltre aveva scelto le squadre da sponsorizzare nell’ambito del bacino di utenza della propria attività.

Anche in questo caso la Commissione Tributaria Provinciale di Parma ha accolto pienamente il ricorso del contribuente descrivendo in maniera molto chiara il principio che ha fondato la disposizione agevolativa richiamata nelle difese del contribuente ed ha affermato che: “… non si può non considerare che l’articolo 90, comma 8, della legge 289/2002 è sì norma speciale, destinata a derogare il regime di deducibilità dei costi delineato dall’articolo 109 del TUIR , ma concepita per rispondere a specifiche esigenze del settore dello sport dilettantistico, quelle di predisporre un regime fiscale agevolato per chi decida di investire in tale settore, al fine di favorire -tramite appunto la leva fiscale – l’incremento di queste attività ritenute socialmente utili e meritevoli di tutela. Si è quindi in presenza di una valutazione che ha già compiuto il legislatore tributario, stabilendo una presunzione assoluta di deducibilità del costo e rendendo insindacabile (tranne casi eccezionali) la scelta imprenditoriale di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico”. In altri termini la sentenza della CTP di Parma non si limita a ribadire, oramai per l’ennesima volta, che esiste una presunzione assoluta di deducibilità del costo che prescinde da valutazioni sulla sua inerenza all’attività commerciale svolta, ma si è spinta oltre, collegando esplicitamente questa conclusione con la volontà politica di agevolare lo sport dilettantistico. In sostanza, quello che fa capire la Commissione di Parma è che le regole generali che l’Agenzia delle Entrate pretende di applicare anche in queste fattispecie, devono invece essere derogate nei casi delle sponsorizzazioni sportive e ciò in quanto il legislatore ha inteso con questa disposizione eccezionale aiutare il settore dello sport dilettantistico consentendo agli imprenditori che sono disposti a versare delle somme agli enti sportivi in corrispettivo di una prestazione promo-pubblicitaria, di prescindere da qualsiasi considerazione in termini di economicità o proporzionalità. Ciò in quanto il beneficio sociale che si produce rendendo più agevole il reperimento di risorse finanziarie per gli enti sportivi dilettantistici prevale sull’esigenza di aumentare il gettito pubblico ponendo limitazioni ai costi deducibili in capo agli imprenditori e ai professionisti. Altro aspetto interessante della sentenza ora in esame attiene alla valutazione fatta dalla Commissione Provinciale con riferimento al profilo del presunto mancato legame tra sponsor e spettatori delle manifestazioni sportive. A tale proposito la Commissione di Parma ha affermato che “inconsistenti sono i rilievi legati alla mancanza di coincidenza tra l’utenza che assiste alla manifestazione sportiva sponsorizzata e la clientela dello sponsor, dal momento che tale argomentazione non tiene conto dell’evoluzione delle tecniche pubblicitarie che porta ad escludere che, nell’attuale mercato <<globalizzato>>, ai fini della sussistenza del requisito dell’inerenza delle spese di pubblicità, debba sussistere un legame territoriale tra l’offerta pubblicitaria e l’area geografica in cui l’impresa svolge la propria attività (Cass. N.3770/2015)”.

Concludiamo il commento di questa sentenza con l’ultima importante riflessione sulle spese di lite. La CTP di Parma ha infatti condannato l’Agenzia delle Entrate a pagare le spese del giudizio. Questo è un segnale importante in quanto evidentemente gli Uffici dell’amministrazione finanziaria dovranno in futuro essere molto prudenti a iniziare contenziosi in cui sanno che potrebbero essere condannati al pagamento delle spese e quindi anche questo aspetto potrebbe indurre l’Agenzia ad abbandonare per il futuro questo genere di accertamenti.

 

Parma, 4 dicembre 2021

Dr. Fabio Zucconi

[1] Cfr. da ultimo Newsletter n.14/21.

[2] Cr. Ancora Newsletter n.14/21.

[3] Trattasi della sentenza n.271/2021 del 5/10/2021 depositata il 12/11/2021.

[4] Ricordiamo che, come più volte ribadito, l’articolo 90 dianzi menzionato, così come viene interpretato dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass.7202/2017, 8981/2017, 1420/2018,13508/2018, 22855/2018, 8540/2020), pone una presunzione assoluta circa la natura pubblicitaria delle sponsorizzazioni sportive purché queste abbiano quattro caratteristiche: 1) siano fatte a un ente sportivo iscritto al Registro CONI; 2) non superino l’entità di 200.000 euro annui; 3) abbiano come finalità quella di promuovere l’immagine o i prodotti dello sponsor; 4) abbiano una effettiva esecuzione.