RIQUALIFICAZIONE ATTI E IMPOSTA DI REGISTRO – IL PUNTO DELLA SITUAZIONE DOPO L’APPROVAZIONE DELLA LEGGE DI BILANCIO 2018 E LA PRIMA GIURISPRUDENZA

Negli ultimi tempi si è avuta una importante evoluzione in merito alla fattispecie correlata agli atti di cessione di quote che, ai fini dell’imposta di registro, vengono riqualificati in cessioni di azienda con applicazione di imposta proporzionale anziché di imposta fissa.

Ricordiamo che fino al 31/12/2017 erano state elaborate due diverse interpretazioni della norma contenuta nell’articolo 20 del Testo Unico Registro (DPR.131/1986): la prima, sostenuta dalla maggioranza della giurisprudenza di Cassazione, affermava che l’Agenzia delle Entrate poteva riqualificare un atto di cessione totalitaria di quote in atto di cessione di azienda e ciò in quanto il risultato economico raggiunto con i due distinti atti era il medesimo e quindi, in applicazione del citato art.20 l’Agenzia delle Entrate era titolata a riqualificare l’atto come cessione di azienda e tassarlo con applicazione di imposta proporzionale. Al contrario la dottrina, molta giurisprudenza di merito e una corrente minoritaria della giurisprudenza di Cassazione ritenevano che l’attività riqualificatoria dell’Agenzia delle Entrate non potesse travalicare lo schema negoziale in cui l’atto posto in essere è stato inquadrato, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa comportante differenti effetti giuridici (cit. Cass.2054/2017).

Per dirimere questi dubbi interpretativi è stata approvata una norma specifica nella Legge di Bilancio 2018 (art.1, comma 85, Legge 205/2017), la quale modificando il testo dell’art.20 del T.U. Registro esplicitamente indica che l’attività di riqualificazione dell’Agenzia delle Entrate deve essere svolta avendo riguardo unicamente agli elementi contenuti nell’atto portato alla registrazione prescindendo da eventuali correlazioni di questo con altri atti.

Si pone quindi il tema di capire se la nuova norma abbia apportato una modifica sostanziale della modalità di tassazione degli atti portati alla registrazione e quindi sia applicabile solo a partire dal 1 gennaio 2018, oppure se la stessa vada intesa come una norma di carattere interpretativo diretta a dirimere un contrasto giurisprudenziale e quindi sia conseguentemente applicabile indifferentemente a tutti gli atti per i quali non siano cristallizzati gli effetti della riqualificazione (per acquiescenza o passaggio in giudicato di sentenza).

In realtà la risposta a questo quesito è palesemente correlata alla genesi della norma: l’articolo di legge ora in esame è stato introdotto evidentemente ed unicamente per arrestare l’applicazione da parte della Corte di Cassazione di un principio di giudizio basato su una interpretazione forzata e non corrispondente né alla lettera, né alla ratio della norma. L’esito concreto dell’applicazione di questo errato[1] indirizzo giurisprudenziale era quello di autorizzare l’Agenzia delle Entrate a svolgere un’attività di riqualificazione foriera di generare incertezza nella pianificazione di alcune operazioni straordinarie delle imprese[2].  L’articolo 1, comma 87 della Legge 205/2017 è da considerarsi quindi una norma interpretativa e ciò appare chiaro innanzitutto dalla relazione illustrativa e dalla relazione tecnica alla Legge di Bilancio. Nella relazione illustrativa si dichiara che il motivo che ha spinto a proporre l’articolo di legge è stato la necessità di “dirimere alcuni dubbi interpretativi sorti in merito alla portata applicativa dell’articolo 20 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR)”. Si precisa nella relazione illustrativa altresì che “tali incertezze interpretative sono rese evidenti dall’esame delle pronunce della giurisprudenza di legittimità”. Si conclude infine dichiarando che “La norma introdotta è volta, dunque, a definire la portata della previsione di cui all’articolo 20 del TUR”. Ne deriva quindi che l’intervento normativo si è reso necessario palesemente solo al fine di chiarire come la norma debba essere interpretata e non sussistono modifiche sostanziali alla norma precedentemente esistente e quindi alle modalità di applicazione dell’imposta di registro, tanto che è esplicitamente scritto che la norma definisce la portata della previsione dell’articolo 20 del TUR. Se si fosse invece inteso apportare un cambiamento il Governo, nella relazione illustrativa avrebbe scritto che la norma è volta a modificare la portata della previsione di cui all’art.20 TUR. Tali conclusioni sono ancor più evidenti nella Relazione tecnica, ove dopo aver ribadito ancora una volta che “La norma in esame è volta a definire [e non a modificare] la portata della previsione di cui all’articolo 20 del TUR” si elencano le modalità con cui deve avvenire l’interpretazione degli atti e ancora una volta questa spiegazione è diretta a fornire le istruzioni per l’attività interpretativa, senza che si faccia alcun riferimento a presunte modifiche rispetto al passato. Infine nella relazione tecnica si evidenzia che la norma in questione ha “natura chiarificatrice e che “dalla stessa non derivano effetti in termini di gettito dal momento che “la misura si limita esclusivamente a precisare le modalità con cui gli uffici devono effettuare le valutazioni ai fini del controllo, in tema di imposta di registro. Sarebbe stato difficile trovare parole più chiare per affermare che la norma ha valenza interpretativa. Dire che la norma “si limita a precisare”[3] le modalità di valutazione non può avere altro significato.

Infine, e ciò appare ancor più dirimente, dichiarare che dalla norma chiarificatrice non derivano effetti in termini di gettito significa evidentemente che non è stata apportata alcuna modifica alla possibilità di riqualificare gli atti portati a tassazione. Se al contrario si ritenesse che la norma nel testo precedentemente vigente autorizzava delle riqualificazioni ora precluse dal nuovo testo di legge, evidentemente il Governo avrebbe dovuto prevedere una riduzione di gettito in quanto non sarebbe più stato possibile portare legittimamente a tassazione con modalità più pesanti (tassazione proporzionale) fattispecie che a partire dal 1/1/2018 avrebbero una tassazione inferiore (imposta in misura fissa).

Per quanto finora esposto a nostro avviso risulta indubitabile che la nuova versione dell’art.20 T.U. Registro debba essere applicabile a tutte le fattispecie indipendentemente dalla data di registrazione dell’atto o dal momento in cui viene svolta l’attività accertativa da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Tuttavia la Corte di Cassazione è già riuscita ad esprimersi due volte (Cass. 2007/2018 e 4407/2018) sul tema continuando a difendere la propria errata modalità interpretativa, sostenendo che la norma contenuta nella legge di bilancio 2018 sia una norma innovatrice e non interpretativa e che attraverso essa sia stata apportata una modifica sostanziale delle modalità di tassazione degli atti. Queste recenti sentenze giungono ad affermare che la norma contenuta nella legge di bilancio 2018 “introduce dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti” e che “tale modificazione ha determinato una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa: là dove l’art.20 previgente … imponeva la tassazione sulla base di elementi … che vengono invece oggi espressamente esclusi”. Conclude quindi la sentenza in esame che “gli atti antecedenti alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2018) continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione dell’art.20 DPR 131/86”. Ora non v’è chi non veda in questa sentenza un tentativo di salvare un indirizzo giurisprudenziale il cui disconoscimento è stato invece proprio l’oggetto dell’intervento normativo (ricordiamo che la Relazione illustrativa dianzi esaminata indicava l’esigenza di dirimere dubbi interpretativi “resi evidenti dall’esame delle pronunce della giurisprudenza di legittimità”).

In altri termini la norma contenuta nella Legge di Bilancio è stata introdotta esplicitamente per evitare che rimanessero dubbi interpretativi che potessero giustificare il sopra menzionato indirizzo giurisprudenziale (che quindi è come se venisse normativamente dichiarato illegittimo). Pertanto la sentenza ora in commento appare una sorta di tautologia che afferma che siccome il metodo interpretativo applicato precedentemente dall’indirizzo giurisprudenziale in oggetto deve essere considerato corretto, la nuova norma deve aver introdotto un’innovazione che ne preclude l’applicazione. Al contrario la soluzione più semplice e conforme a tutti gli atti preparatori ed esplicativi della norma appare evidentemente quella che considera l’articolo introdotto dalla Legge di Bilancio 2018 come il mezzo per dirimere un contrasto giurisprudenziale e dottrinale indicando quello che è da considerare il giusto metodo interpretativo (che era tale prima e che rimane tale dopo l’entrata in vigore della Legge di bilancio).

Rileviamo a tal proposito che queste conclusioni, nel pur breve tempo dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2018, sono state condivise da numerose e qualificate fonti. Innanzitutto la stessa Agenzia delle Entrate ha sconfessato in parte la conclusione della Corte di Cassazione quando, con le risposte alla manifestazione Telefisco del 1 febbraio 2018, pur ribadendo la tesi della irretroattività della norma (ed evidentemente non poteva fare diversamente in presenza di una sentenza della Cassazione di pochi giorni prima ad essa favorevole), ha dichiarato che essa si applica non sugli atti registrati a partire dal 1 gennaio 2018, bensì sulle attività di liquidazione effettuate a decorrere da quella data. Tuttavia ben più pregnanti ed approfondite appaiono invece le prese di posizione assunte dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina. Ci riferiamo in primo luogo alla Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia n.4/2/2018 del 31 gennaio 2018, la quale, con un’articolata e ben argomentata motivazione, giunge alla conclusione che la norma contenuta nella Legge di Bilancio 2018 abbia valenza interpretativa e quindi sia applicabile anche agli atti formati antecedentemente al 1 gennaio 2018. Infine anche Assonime, nella sua circolare n.3 del 6 febbraio 2018 afferma: che “il principio ora enunciato espressamente dall’art. 20 potrebbe esplicare effetti anche sui rapporti pregressi, vale a dire sugli atti posti in essere anteriormente al 1° gennaio 2018, sempreché, ovviamente, su tali rapporti non si sia già formato un giudicato o l’accertamento non sia divenuto comunque definitivo”.

[1] Che questo indirizzo giurisprudenziale fosse da considerare errato emerge chiaramente dalla norma contenuta nella legge n.205/2017 che è stata introdotta appunto per eliminare gli effetti di questo errore.

[2] Trattasi di un caso del tutto analogo a quello che si ebbe con la norma introdotta dall’art.5, comma 3 del D.Lgs. n.147/2015 in tema di accertamento automatico della plusvalenza a seguito di accertamento sul maggior valore per imposta di registro. Anche allora l’intervento del legislatore si era reso necessario per evitare che un indirizzo giurisprudenziale riconosciuto come errato e dannoso potesse continuare a creare dubbi sulla corretta applicazione della norma.

[3] Se l’articolo del Ddl avesse inteso modificare la norma in vigore in senso sostanziale non sarebbe stato corretto utilizzare il verbo “limitarsi” e anziché il termine “precisare” si sarebbe dovuto utilizzare il termine “modificare”.